Parto alla grande con questo titolo, ma sono carica, e ci credo. Come credo nei viaggi, soprattutto di un certo tipo, quelli che dopo tre ore si è tutti come fratelli.
Da qualche settimana ho ripreso (dopo anni) a giocare a beach volley. Non ce la facevo proprio a lasciare i piedi lontani dalla sabbia quest’autunno, e questo gruppo che ho trovato un po’ per caso, un po’ forse per destino, è prezioso. Persone che mai si sarebbero cercate in altri ambienti su un campo diventano una matassa ingarbugliata, piacevolmente legata. Li osservo. Eccentrica una, magrissima un’altra, griffata anche sui leggins. Svampita la più piccola, un bronzo di Riace il capetto. Che oltre che alto è anche bellissimo. Giusto per completare, l’adone ha pure gli occhi chiari e dal suo metro e novanta è stra bravo. Ovviamente è arrogante, ma poi lo guardi difendere i compagni, e pensi che alla fine sia un uomo generoso. Completano il quadretto altri tre o quattro. Un paio idealmente più affini a me; un altro ragazzo ex qualcosa, ex animatore, ex sportivo, ex imbianchino, ex allevatore di serpenti, insomma strano, ma altruista e motivatore, oltre che precisissimo a segnare. E così tra una schiacciata, una battuta ed una palla che sbagli, ci si batte il cinque si urlano complimenti ci si scontra ci si ritrova a terra con la sabbia fin nei capelli e si è tutti amici.
In alcuni istanti mi rivedo adolescente durante i tornei in giro per Milano. Con papà che mi accompagnava in macchina. E non da meno, che riesca oggi a reggere novanta minuti di partita, dopo trent’anni, è galvanizzante. C’è una cosa che credo renda questo appuntamento un regalo tra i più preziosi di questo mio Natale: la partita unisce, la presa in giro è d’obbligo e diventa confidenza, la stanchezza dopo due ore accomuna e rende uguali. Non ci sono belli brutti grassi e ricchi. Lo sport fa questo, azzera le differenze, unisce, ti sporca tutti allo stesso modo, ti fa godere quando vinci e fare gruppo anche se perdi.