#Spessosola

Da qualche settimana ho scelto di limitare le occasioni sociali con troppe persone, in verità anche due oltre alla sottoscritta, a volte sono troppo. Covid causa, ovviamente. Stagione fredda che non aiuta. Così a parte il lavoro e le partite a beach della domenica pomeriggio; il caffè con un’amica nel weekend e la passeggiata con la mia cagnolina sono il massimo delle mie relazioni. Al momento. Scelgo io. E scelgo io anche di non frequentare alcuni amici. Ho scelto io di interrompere una storia, mesi fa. Forse sono sempre io che scelgo questo modesto isolamento. Me ne rattristo, a volte. Mi sento sola, altre. Mi mancano moltissimo i miei riferimenti, andati. Ma non mi affanno, sto. Piango, riaffacciandomi su quel dolore che mi ha devastata e gridando a chi non c’è più, che mi manca. Gioco con la mia bimba di pelo bianco, dopo cena, nascondendomi dietro il divano ad aspettare che impazzisca di felicità, scovandomi. Leggo tantissimo, ritrovando abitudini che sono mie e che avevo dimenticato. Stabilisco un paio di priorità, le perseguo, ma non rincorro. Mi ha colpito questa frase, che se qualcuno riconosce può portare corretta, visto che non ricordo da dove l’ho presa… Gli alberi in inverno non fanno yoga, non si adoperano, non si muovono. Stanno lì, tanto sanno che tornerà il vento a farli ballare di nuovo.

mattina del 25

In questa Milano deserta la mattina di Natale vado a fare il mio tampone di chiusura monitoraggio, sperando di essere negativa, perché qui a destra e a sinistra continuo a prendere nota di ‘affondati dal virus’. In questo grigiume delle sette di mattina (come le partenze intelligenti, chi vuoi che vada nell’unico ospedale di Milano aperto oggi per lo screening) non trovo in giro anima viva. Strade vuote, semafori rossi che non fermano nessuno, i negozi ancora chiusi, il parcheggio semi deserto. Sono ottimista.

Quelli svegli sono tutti in coda sotto questo tendone della protezione civile. Ma è presto e me la cavo con neanche mezz’ora di coda. Finisco e la fila si è già quadruplicata, i negativi pranzeranno qui, i positivi di nuovo chiusi in casa a fare videocall con i parenti. Non funziona che in una mega città manchino punti tampone in ogni piazza. Che molti rallentamenti siano causati da chi ancora lo deve fare ogni due giorni. Che non appena l’infermiere ha aperto lo sportello dividendoci in prenotati e non, una decina di persone abbia tentato il sorpasso (e sia stato rimandato dietro). Non funziona un sistema di testing per le scuole organizzato in questo modo, per cui ci sono bambini che fanno quattro tamponi in un mese e altri che di fronte al primo sono magicamente positivi, serve una campionatura a tappeto, direttamente nelle aule.

Scendo con la cagnolina, se due amiche mi rimangono negative dopo ultimo antigenico, andrò a pranzo da loro, e comunque buon Natale.

Lo sport abbatte ogni confine

Parto alla grande con questo titolo, ma sono carica, e ci credo. Come credo nei viaggi, soprattutto di un certo tipo, quelli che dopo tre ore si è tutti come fratelli.

Da qualche settimana ho ripreso (dopo anni) a giocare a beach volley. Non ce la facevo proprio a lasciare i piedi lontani dalla sabbia quest’autunno, e questo gruppo che ho trovato un po’ per caso, un po’ forse per destino, è prezioso. Persone che mai si sarebbero cercate in altri ambienti su un campo diventano una matassa ingarbugliata, piacevolmente legata. Li osservo. Eccentrica una, magrissima un’altra, griffata anche sui leggins. Svampita la più piccola, un bronzo di Riace il capetto. Che oltre che alto è anche bellissimo. Giusto per completare, l’adone ha pure gli occhi chiari e dal suo metro e novanta è stra bravo. Ovviamente è arrogante, ma poi lo guardi difendere i compagni, e pensi che alla fine sia un uomo generoso. Completano il quadretto altri tre o quattro. Un paio idealmente più affini a me; un altro ragazzo ex qualcosa, ex animatore, ex sportivo, ex imbianchino, ex allevatore di serpenti, insomma strano, ma altruista e motivatore, oltre che precisissimo a segnare. E così tra una schiacciata, una battuta ed una palla che sbagli, ci si batte il cinque si urlano complimenti ci si scontra ci si ritrova a terra con la sabbia fin nei capelli e si è tutti amici.

In alcuni istanti mi rivedo adolescente durante i tornei in giro per Milano. Con papà che mi accompagnava in macchina. E non da meno, che riesca oggi a reggere novanta minuti di partita, dopo trent’anni, è galvanizzante. C’è una cosa che credo renda questo appuntamento un regalo tra i più preziosi di questo mio Natale: la partita unisce, la presa in giro è d’obbligo e diventa confidenza, la stanchezza dopo due ore accomuna e rende uguali. Non ci sono belli brutti grassi e ricchi. Lo sport fa questo, azzera le differenze, unisce, ti sporca tutti allo stesso modo, ti fa godere quando vinci e fare gruppo anche se perdi.

Alle volte

basta un sorriso. E ottieni il mondo.

Basta sapere chiedere, con spontaneità, con gli occhi spalancati sull’altro.

Sii di poche parole, ma quelle acute. Cogli il momento, sii accorto.

Usa gentilezza, quella d’animo, di chi sa perché c’è passato, da quell’inferno.

Allunga una mano, anche senza il gesto, la coglieranno.

Impara a sentire,

troverai ascolto e lealtà.

Scivola la pioggia

In pomeriggi come questi inesorabilmente mi ritrovo con i piedi nelle pozzanghere e gli occhi nel grigio di questa città allagata di pioggia e di freddo. E ritorno ai ritorni da scuola, alla merenda con te in cucina, alla copertina sul divano ed al telefilm prima di cena. Le mattine a studiare per l’università, i libri sul letto, sì scendo io a prendere il pane che almeno stacco un po’.

Mi viene da chiamarti, come si fa l’arrosto con gli spinaci in pentola, oggi ho discusso al lavoro e sono stanca, ho incontrato la tua amica e ti saluta. Comincia a fare freddo, sì ho tirato fuori il piumone, si sto attenta quando esco la sera.

Mi sento sola, anche se sola non sono, e ne ringrazio, ma avrei bisogno della tua voce, del tuo coraggio, del tuo dirmi sempre la parola giusta per stare in pace. Guardo fuori dal vetro, ho le luci accese in casa, alle quattro oggi sembra notte.

A Milano è padel mania

ma anche beach, quasi che l’estate non la si lasci alla spiaggia. Ed è così che in questo clima autunnale ancora mite e soleggiato mi ritrovo a racchettare con persone mai viste e a prendere schiacciate sotto rete, che neanche a quindici anni.

Il padel è la moda sportiva del momento. Impianti che per anni si sono spartiti tornei di calcetto adesso riconvertono spazi verdi e campi in padel, con prenotazioni già full per tutta la stagione. Ciò che lo rende vincente è la facilità di approccio, che le squadre siano miste e di ogni età, che sia divertente e quindi sia un ottimo aggregatore e che faccia sudare come dei dannati. Un’ora e mezza e puoi andare a dormire, sebbene il post partita preveda quasi sempre sempre una sorta di terzo tempo.

Io non ci azzecco molto, sono più le palline che mando fuori di quelle che segnano, quindi con umiltà lascio spazio agli altri cimentandomi con il beach, indoor. A volte cementandomi è il termine appropriato. La meraviglia è che giochi scalzo in campi al chiuso e riscaldati, ma hai i piedi nella sabbia e questa sensazione mentre fuori ci sono autobus e palazzi, è tanta roba. A pallavolo non ero malaccio, vent’anni fa. Allenamenti seri, tornei, campionati non agonistici. Adesso tendo a imbalsamarmi nei centimetri farinosi (ma quanti sono! Si sprofonda) nel senso che se i giocatori sono molto bravi, e ciò significa che si corre e si salta a go-go, dopo che sono atterrata sotto rete non ho più la forza di volare a coprire mezzo campo in quella frazione di secondo che richiede la situazione. Però mi diverto, e una volta ogni tanto, stacco con la testa e riesco anche a tornare adolescente!

Non sono una da serie tv

Non sono una da serie TV (lockdown a parte che mi ha tenuta incollata a stagioni discutibili) perché di solito mi annoio subito, quindi preferisco passare la serata davanti a un buon film che si conclude nel giro di due ore. Sono anche piuttosto refrattaria verso queste catene di episodi che appassionano tutti, e molto meno me, che spesso trascorro serate a shiftare da un titolo all’altro per poi spegnere insoddisfatta e mettermi a leggere.

In ogni caso qualcuna ha attraversato la cortina della mia indifferenza e ne posso contare sulle dita della mano qualcuna che mi ha rapita fino a notte fonda. Tralasciando i vintage-cult come ‘Lost’ e ‘Breaking bad’, mi sono commossa, arrabbiata e inquietata per la Casa di carta, non ho dormito finché non ho finito ‘Le regole del delitto perfetto’ e mi sono divorata Scandal (su prime, ambientato nella White house) mentre facevo step nei mesi di chiusura; ho stroncato dopo pochi minuti le varie americanate collegiali, e mi sono fatta coinvolgere dolcemente in qualche saga inaspettata di poche puntate. Calcolate che sono cresciuta con Supercar e ‘Saranno famosi’, mi sono innamorata con ‘Friends’, ho spettegolato serate intere di fronte a ‘Sex and the city’ e sono morta dal ridere con Will e Grace.

Ma torniamo a noi. Per fare questa riflessione.

Alcune miniserie raccontano di famiglie che attraversano l’inferno. Di ogni. Lasci la puntata e pensi che non ci sia speranza. Tradimenti, congiure, ostacoli, lavori saltati, pugnalate (vere o simboliche), tragedie, traslochi, sogni infranti. Eppure vanno avanti. Risorgono. Nel giro di sei sette ore quello che sembrava insuperabile si affronta, l’impensabile perde importanza perché succede altro, di lavoro se ne trova uno nuovo, il traguardo si sposta, l’amicizia si recupera.

Ovviamente di finzione si tratta, ma penso a quanti problemi all’inizio sembrano insormontabili e poi si risolvono, a volte da soli. Quanti atteggiamenti mi feriscono e dopo qualche settimana passano nel dimenticatoio. Una discussione con il collega, una porta in faccia, un desiderio che sembra tanto lontano che poi trova altre forme e altre vie per essere realizzato. Non tutto quello che sembra destinato ad essere un fallimento poi lo diventa davvero, siamo solo noi ad investirlo di mille significati negativi e catastrofici. Quelli che sembrano guai in arrivo poi grazie al cielo non sempre si verificano, o comunque cambiano di aspetto e a volte diventano persino trascurabili. Il licenziamento ti porta su nuove vie. Ritrovarti sola ti mette in campo con risorse che nemmeno sapevi di possedere. Ti butti in qualcosa che non sai come andrà a finire, e scopri che era la tua strada. Piove per tre giorni e poi improvvisamente ti svegli ed è sereno.

mercoledì sera, casa

..dopo giorni, e soprattutto sere, nelle quali non mi sono mai fermata. Sono uscita praticamente sempre, ora qualcuno dirà che non amo la solitudine e fuggo da essa. Niente di più errato, ci ho riflettuto, tranquilli. Io amo anche copertina, tisana, cagnolina spalmata addosso, pc sulla gambe, tele di sottofondo. Immagine da befana, ma tant’é.. Mi sono pure cucinata la vellutata di zucca, così completo il quadretto. Comunque le mie serate milanesi si sono avvicendate tra cene, amici ritrovati (che bello), amiche nuove e chiacchiere interessanti (bellissimo), un paio di partite di beach volley (come non sentire il peso degli anni) e poi le sere della settimana sono finite.. Finché il tempo è bello, liberi da restrizioni, con la voglia di vedersi, praticamente ho messo giù un planning che nemmeno al lavoro.. Stamattina mi sono svegliata già carica. In piedi con la prima sveglia, avevo già almeno cinque cose in testa senza neanche avere acceso la Nespresso. E la giornata è andata alla grande! Tutto si è meravigliosamente incastrato e avviato, pum pum pum, una cosa dopo l’altra. Ho lavorato senza sosta, ho avviato il progetto al lago sollecitando (finalmente con risultati insperati) un paio di persone, ho risolto altre piccole faccende, ho messo nel carrello un piccolo regalo per me, ho finito alle sette di cercare un’attività da fare in classe domani con le foglie, ho buttato lì l’idea di un appuntamento sportivo settimanale di gruppo e ci sto fantasticando sopra e adesso ho ancora un’oretta buona per rilassarmi. Ah, ho voluto guardare adesso l’oroscopo, di oggi, perché mi era sembrata troppo una giornata perfetta. Fox accenna solo al nervosismo e ad un periodo complesso. Immagino sia uguale per tutti.

..e io paziento, serena (quasi)

La pazienza non è il mio forte, ma ci provo. Mi metto in attesa, sposto la data sul calendario in avanti. Sono tenace e determinata, mi adopero per arrivare alla meta. E di solito ci riesco. Mi sono dovuta piegare, sotto il peso delle perdite, per raccogliere pezzettini di me, per chiedere scusa, per toccare terra e rialzarmi.

Ci provo. A vedere positivo. Molte cose non vanno mai come dovrebbero. Ma tu sorridi, come va? Tutto bene. E procedi un passo dopo l’altro e speri che domani vada meglio, perché lo sai che basta poco per farti tornare alle stelle. Che sai reinventarti, che puoi andare a fare una corsa, puoi urlare quella canzone davanti allo specchio. Che un film ti fa piangere, ma ti fa sentire parte del mondo, che un libro ha le risposte, che nel sogno puoi vedere i tuoi, che se un pomeriggio è uggioso puoi fare una torta, che se ti butti sul divano ti salta addosso la cagnolina. E lo sai che una serata con gli amici ti dura una settimana, che il lavoro ti piace anche quando discuti, che la mattina hai spesso il sole sul letto, che una cena fuori ti mette di buon umore, che la pizza è buona anche se fa ingrassare, che quella cortesia ha già spostato l’asticella in su, che la ruota gira e vedrai che tutto poi ingrana.