
In questa Milano deserta la mattina di Natale vado a fare il mio tampone di chiusura monitoraggio, sperando di essere negativa, perché qui a destra e a sinistra continuo a prendere nota di ‘affondati dal virus’. In questo grigiume delle sette di mattina (come le partenze intelligenti, chi vuoi che vada nell’unico ospedale di Milano aperto oggi per lo screening) non trovo in giro anima viva. Strade vuote, semafori rossi che non fermano nessuno, i negozi ancora chiusi, il parcheggio semi deserto. Sono ottimista.
Quelli svegli sono tutti in coda sotto questo tendone della protezione civile. Ma è presto e me la cavo con neanche mezz’ora di coda. Finisco e la fila si è già quadruplicata, i negativi pranzeranno qui, i positivi di nuovo chiusi in casa a fare videocall con i parenti. Non funziona che in una mega città manchino punti tampone in ogni piazza. Che molti rallentamenti siano causati da chi ancora lo deve fare ogni due giorni. Che non appena l’infermiere ha aperto lo sportello dividendoci in prenotati e non, una decina di persone abbia tentato il sorpasso (e sia stato rimandato dietro). Non funziona un sistema di testing per le scuole organizzato in questo modo, per cui ci sono bambini che fanno quattro tamponi in un mese e altri che di fronte al primo sono magicamente positivi, serve una campionatura a tappeto, direttamente nelle aule.
Scendo con la cagnolina, se due amiche mi rimangono negative dopo ultimo antigenico, andrò a pranzo da loro, e comunque buon Natale.